Le controverse cinque finali Genoa-Bologna, il ritorno della Juventus e la Carta di Viareggio

UN CAMPIONATO COMBATTUTO

Per la Lega Nord il campionato si svolse eccezionalmente a 25 squadre, a causa dell’ammissione in soprannumero del Mantova per risarcimento per la retrocessione avvenuta nel 1923 per colpa di arbitraggi truccati. Per tornare a 24, si stabilì che nel girone a 13 anche la penultima sarebbe retrocessa direttamente.

Il Girone A fu molto equilibrato e vide una accesa lotta per il primato tra Genoa, Modena, Pisa e Casale. Il Modena vinse il girone d’andata con 17 punti, seguivano Genoa e Pisa a quota 16 e il Casale a quota 12. Nelle prime giornate del girone di ritorno il Casale recuperò il divario, e ne risultò un campionato incerto. Alla sedicesima e di nuovo alla diciottesima giornata le quattro contendenti erano appaiate in vetta. Alla fine il Modena pagò cara la morte di Tichovski (sostituito dall’esordio di un giovanissimo Alfredo Mazzoni) e l’infortunio di Winkler all’inizio del girone di ritorno, nonché la decisione della Lega Nord di rinviare tre partite del Genoa a fine girone, e la sconfitta (4-1) alla penultima sul campo del Brescia in lotta per la salvezza. Il Genoa, ottenendo due vittorie e un pareggio nei tre recuperi contro avversari demotivati, riuscirono a sorpassare in extremis il Modena, vincendo il girone. In zona retrocessione cadde lo Spezia, mentre il Legnano avrebbe dovuto disputare gli spareggi interdivisionali per l’ammissione al campionato successivo. In realtà questi spareggi non si disputarono e il Legnano fu salvo.

Nel Girone B si ebbe una seria lotta per il primato tra Juventus, Pro Vercelli e Bologna. Juventus e Bologna chiusero il girone d’andata al primo posto con 18 punti, seguiti da Pro Vercelli e Padova a quota 17. I felsinei erano partiti male nelle prime giornate dell’andata ma poi riuscirono a recuperare il divario. I Leoni Bianchi di Vercelli lottarono fino alle ultime giornate per il primato ma pagarono care alcune inopinate sconfitte contro squadre in lotta per la salvezza, come quella per 4-2 sul campo del Mantova l’8 febbraio e quella per 3-0 sul campo della SPAL il 19 aprile. Nonostante le due vittorie casalinghe negli scontri diretti nel girone di ritorno (2-1 contro la Juve alla quintultima e 3-0 contro il Bologna alla terzultima), la Pro Vercelli chiuse solo seconda a pari merito con i bianconeri, mentre i felsinei, squadra più continua, chiuse in vetta il girone con due punti di vantaggio sulle due seconde. In zona retrocessione caddero SPAL e Derthona. Tuttavia, la SPAL presentò reclamo per ottenere la vittoria a tavolino nella partita persa sul campo contro il Derthona. Il ricorso fu accolto ad agosto inoltrato, permettendo ai ferraresi di raggiungere al terzultimo posto il Mantova e rendendo necessario uno spareggio tra le due compagini. Nello spareggio salvezza del 30 agosto 1925 fu il Mantova ad avere la meglio per 3-1 ai tempi supplementari condannando la SPAL alla retrocessione. Mantova e Legnano avrebbero dovuto disputare un girone di qualificazione contro Como e Novese, squadre di Seconda Divisione, ma in seguito della rinuncia di queste ultime a disputarli (essendo ormai già settembre), furono riconfermate in Prima Divisione anche per l’anno successivo.

LE CINQUE TURBOLENTE FINALI

Furono dunque Genoa e Bologna a disputare le finali. All’andata il Genoa riuscì nell’impresa di espugnare il campo avversario per 2-1. Sembrava fatta ma nel ritorno in casa vanificò tutto perdendo inopinatamente per 2-1 contro i forti avversari. A questo punto si dovette disputare una partita di spareggio sul campo neutro di Milano. E qui cominciò il dramma che rese il campionato interminabile, tra invasioni di campo, minacce all’arbitro e sparatorie tra tifoserie.

La prima partita di spareggio (terza complessiva), disputata a Milano il 7 giugno, vide il Genoa dominare il primo tempo, chiuso con doppio vantaggio grazie alle reti di Moruzzi e Alberti. Al 16° della ripresa tuttavia un tiro del bolognese Muzzioli entrò nella porta difesa da Giovanni De Prà in maniera anomala. De Prà sostenne di essere riuscito a deviare la palla in angolo, ma voltatosi dietro se la trovò dentro la rete: l’arbitro indicò l’angolo, ritenendo che la sfera fosse uscita dal rettangolo di gioco ed entrata in porta attraverso uno squarcio nella rete, forse sospinta dai tifosi felsinei. A quel punto vi fu l’invasione di campo di numerosi “tifosi” del Bologna che accerchiarono e minacciarono l’arbitro Mauro, intimandogli di convalidare il gol; dopo un quarto d’ora di sospensione, Mauro rinunciò a sospendere la partita per pressioni di un dirigente della FIGC (le testimonianze filogenoane sostengono che tale dirigente fosse Arpinati, tifoso del Bologna, ma le testimonianze filobolognesi lo negano) e convalidò il gol. Il Bologna accorciò così le distanze. A pochi minuti dalla fine il Bologna pareggiò con una rete segnata da Pozzi. Secondo le testimonianze filogenoane quella rete sarebbe stata da annullare per una presunta carica al portiere, ma le cronache dell’epoca non ravvisarono alcuna irregolarità nella rete. Un terzo gol del Bologna fu annullato per irregolarità e la partita si chiuse sul 2-2. Si sarebbero dovuti disputare i supplementari, ma il Genoa non si presentò chiedendo la vittoria a tavolino per le intemperanze del pubblico bolognese, che avevano condizionato l’arbitro costringendolo a convalidare un gol. Anche il Bologna chiese la vittoria a tavolino ritenendo la mancata presentazione del Genoa per disputare i supplementari equivalente a un forfait. La Federazione non diede ragione a nessuna delle due: annullò la partita e la mandò a ripetere, multando il Genoa per non essersi presentato ai supplementari.

La quarta partita si disputò a Torino il 5 luglio e si chiuse sull’1-1. Avvenne, però, un grave fatto di cronaca nera alla stazione di Porta Nuova, quando s’incrociarono i due treni speciali gestiti dai club che riportavano a casa le rispettive tifoserie. Dallo scontro che ne seguì, dal convoglio bolognese partirono una ventina di colpi di rivoltella contro i tifosi genoani, causando due feriti. L’opinione pubblica si indignò dell’accaduto e la FIGC optò per la sospensione del torneo fino alla cattura dei responsabili degli incidenti, anche in seguito al rifiuto del prefetto di Torino di ospitare a porte chiuse l’ennesimo spareggio. La FIGC intimò al Bologna di consegnare i responsabili, pena la sconfitta a tavolino e la vittoria del Genoa. La società felsinea, tuttavia, si ribellò a questo ordine, giustificando l’accaduto con presunte provocazioni compiute dai tifosi liguri e lamentandosi di un complotto ai suoi danni. Il 26 luglio vennero annullate le sanzioni a carico dei bolognesi e fu disposto che soltanto il calcio giocato sarebbe stato il giudice inappellabile di questo drammatico duello fra le due squadre, con la disputa di una terza partita di spareggio, la quinta complessiva. Questa si disputò il 9 agosto, alle 7 del mattino, in un campo alla periferia di Milano a porte chiuse, onde evitare incidenti tra tifoserie. Il Bologna vinse per 2-0 aggiudicandosi il campionato. I genoani recriminarono per i presunti favori ricevuti dal Bologna grazie all’intercessione del gerarca fascista Arpinati (tifoso felsineo), e ancora oggi parlano di questi avvenimenti come il “furto della stella” (cioè del possibile decimo scudetto del Genoa). Testimonianze filogenoane parlano di giocatori del Genoa in villeggiatura che sarebbero stati costretti a disputare all’improvviso la quinta partita fuori forma mentre il Bologna, preavvisato da Arpinati, avrebbe continuato ad allenarsi mentre gli avversari erano al mare. Tuttavia le ricostruzioni filobolognesi ritengono una falsità il fatto che il Genoa fosse in villeggiatura sulla base delle fonti dell’epoca e difendono la validità e la legittimità del titolo vinto dal Bologna, smentendo anche il presunto coinvolgimento di Arpinati (non si avrebbero prove che Arpinati fosse sceso in campo per intimidire l’arbitro a convalidare il gol bolognese nella terza partita).

Il Bologna ebbe poi gioco facile a imporsi sull’Alba di Roma, campione centro-meridionale, regolandola per 4-0 a Bologna e per 2-0 nell’Urbe, conquistando il suo primo scudetto.

RIFORMA DEI CAMPIONATI: VERSO IL GIRONE UNICO?

Nell’agosto 1925 il consiglio della Lega Nord decise di costituire la cosiddetta “Commissione dei tredici”, demandando ad essa il compito di stilare una importante riforma dei campionati. In particolare, a partire dalla stagione 1926-27, il campionato di calcio di massima serie si sarebbe disputato a girone unico, con 16 squadre ammesse. Nel settembre 1925 la “Commissione dei tredici” stabilì la seguente struttura dei campionati  a partire dal 1926-27:

  • La massima serie, ribattezzata Divisione Nazionale per l’occasione, sarebbe stata a girone unico e vi sarebbero state ammesse le prime otto classificate di ognuno dei due gironi di Prima Divisione della Lega Nord 1925-26.
  • Il nuovo campionato cadetto, la Prima Divisione Nord 1926-27, sarebbe stato costituito da 2 gironi interregionali di 12 squadre ciascuno, per un totale di 24 squadre, ovvero le ultime quattro classificate di ognuno dei due gironi di Prima Divisione 1925-26, a cui si sarebbero aggiunte le prime quattro classificate di ognuno dei quattro gironi di Seconda Divisione 1925-26.
  • La Seconda Divisione 1926-27 avrebbe avuto la stessa formula della Prima Divisione Nord, con 24 squadre suddivise in due gironi interregionali, ovvero le classificate dal 5° all’8° posto nei quattro gironi di Seconda Divisione 1925-26, a cui si sarebbero aggiunte otto squadre provenienti dalla Terza Divisione.
  • Furono inoltre istituite sia  al Nord che al Sud le rispettive leghe delle società maggiori e delle società minori. Le leghe delle società maggiori avrebbero gestito Prima e Seconda Divisione (e di fatto coincidevano con le vecchie leghe Nord e Sud), le leghe delle società minori avrebbero coordinato l’attività dei campionati regionali di Terza e Quarta Divisione e gestito direttamente le eventuali finali interregionali di Terza Divisione.

Nelle intenzioni dei riformisti, nessuna squadra della Lega Sud sarebbe stata ammessa in Divisione Nazionale (almeno nel 1926-27), ma sarebbero rimasti nella declassata Prima Divisione della Lega Sud, che avrebbe probabilmente messo in palio una promozione in Divisione Nazionale. Di fronte alle insistenze delle squadre centro-meridionali, tale decisione fu rivista, e fu promesso alla vincitrice della Lega Sud un posto in Divisione Nazionale già a partire dalla stagione 1926-27.

Per quanto riguarda la Lega Sud, nell’agosto 1925 fu proposto di rendere il campionato interregionale, suddividendo le 16 squadre ammesse in due gironi da otto. Le proteste delle piccole società, che avevano tutto l’interesse a mantenere la vecchia struttura a eliminatorie regionali per ridurre le spese di trasferta, portarono al respingimento della riforma, e si continuò con i campionati regionali. Furono però allargate le semifinali di Lega a cinque squadre per girone, ammettendovi per la prima volta anche i vicecampioni della Sicilia e delle Marche. La vincente del campionato avrebbe conteso lo scudetto ai campioni del Nord, anche se aveva possibilità quasi nulle di vincerlo, e forse sarebbe stato ammesso in Divisione Nazionale.

IL RITORNO DELLA JUVENTUS

Per quanto riguarda il campionato della Lega Nord, il girone A vide la lunga contesa tra Bologna e Torino. La spuntarono i felsinei. In zona retrocessione caddero Novara, Udinese, Pisa e Legnano.

Il girone B vide invece il dominio della Juventus, che lasciò il vuoto dietro a sé dopo un girone d’andata equilibrato in cui si erano contese il primo posto, oltre ai bianconeri, la sorpresa Cremonese, il Genoa e la Pro Vercelli. Il calo delle contendenti nel girone di ritorno permise ai bianconeri di vincere il girone con ben nove punti di vantaggio sulla sorprendente Cremonese, alla fine seconda. In zona retrocessione caddero Reggiana, Alessandria, Parma e Mantova.

La finale della Lega Nord tra bianconeri e felsinei fu molto equilibrata e, dopo due pareggi, si rese necessario lo spareggio in campo neutro, in cui la spuntarono i bianconeri grazie al gol decisivo di Vojak. All’indomani della vittoria del campionato della Lega Nord, molti giornali, considerato il livello agonistico irrisorio delle squadre della Lega Sud, non esitarono ad attribuire alla Juventus il titolo di Campione d’Italia, nonostante fosse ancora da disputare la finalissima contro i Campioni della Lega Sud.

Per quanto riguarda il campionato della Lega Sud, in Campania si assistette al dominio dell’Internaples, che approfittò della mancata iscrizione di Savoia e Cavese, per vincere il campionato regionale davanti alla Bagnolese. La compagine partenopea, retta dal presidente Ascarelli, si era rinforzata ingaggiando dall’Alessandria l’allenatore Carcano e l’attaccante Ferrari, che anni dopo avrebbero fatto parte della Juventus del quinquennio d’oro. Dalle giovanili cominciò a giocare in prima squadra Attila Sallustro, che sarebbe diventato uno dei primi campioni del Napoli. La compagine partenopea vinse anche il girone A di Semifinale, spuntandola sui romani della Fortitudo, qualificandosi alla Finale della Lega Sud contro i favoriti capitolini dell’Alba.

Quest’ultimi avevano vinto a fatica il loro girone di semifinale, spuntandola sulla Bagnolese solo grazie a una vittoria in trasferta nello scontro diretto alla penultima giornata, dopo che avevano pareggiato la partita di andata in casa (3-3). Tuttavia alcune discutibili decisioni della Lega Sud e della FIGC sembrarono poter levare loro il primato conquistato sul campo. Il 2 maggio 1926 l’Alba aveva pareggiato per 1-1 in casa contro la Pro Italia. In seguito a questo pareggio, si lamentò per l’arbitraggio avverso di Battucci, accusando la Lega Sud di averlo mandato apposta per far perdere punti ai capitolini e favorire la vittoria del girone da parte della Bagnolese, squadra partenopea (la Lega Sud aveva sede a Napoli), e minacciò di ritirarsi dal campionato in segno di protesta; prima dell’incontro l’Alba aveva richiesto dalla Lega Sud un arbitro del Nord, richiesta negata dalla Lega; anche per questo, l’Alba si lamentò della disparità di trattamento rispetto alla partenopea Internaples, le cui partite erano spesso arbitrate da arbitri del Nord. Anche il pubblico capitolino contestò l’arbitraggio e al termine della partita attese con clamori e minacce l’uscita dell’arbitro per contestarlo e aggredirlo. Due settimane dopo, la Lega Sud annullò la partita per gli errori tecnici dell’arbitro, ma squalificò al contempo il campo dell’Alba per tutta la durata delle semifinali e multò la società capitolina di tremila lire.  Grazie alla vittoria in trasferta contro la Bagnolese, l’Alba riuscì comunque a raggiungere in testa la squadra di Bagnoli (un quartiere di Napoli), con la possibilità di vincere il campionato pareggiando o vincendo la partita annullata contro la Pro Italia.

Sennonché il consiglio federale riunitosi a Milano il 13 giugno 1926, applicando l’articolo 18 del regolamento organico, assegnò la sconfitta a tavolino per 2-0 all’Alba nella già citata partita con la Pro Italia del 2 maggio 1926, con il risultato che Bagnolese, Pro Italia e Alba si trovavano ora a quota 12 punti, ma con la Bagnolese prima per un miglior quoziente reti. A questo punto la finale avrebbe dovuto essere Internaples-Bagnolese. A causa della discutibile decisione federale l’Alba era scivolata così dal primo al terzo posto. L’Alba gridò al complotto orchestrato dalla Lega Sud (definita offensivamente dalla stampa romana di parte come una combriccola camorristica napoletana) per far vincere il campionato a una squadra di Napoli, e presentò subito ricorso, pretendendo giustizia. Nel frattempo fu organizzata anche una manifestazione di protesta per le strade della Capitale, e si cercò l’appoggio di importanti gerarchi fascisti romani, come Italo Foschi e Lando Ferretti (presidente del CONI). L’Alba chiese anche di far annullare la partita contro la Maceratese terminata 1-0 per l’Alba, nella speranza di vincere la ripetizione almeno 12-0 e così superare la Bagnolese nel quoziente reti; il ricorso fu accolto e la partita mandata a ripetere il 23 giugno, ma la Maceratese diede forfait, e così l’Alba vinse solo 2-0, risultando ancora terza per il quoziente reti. L’unica speranza poggiava ora sugli appoggi ricevuti da importanti gerarchi fascisti romani, in modo da ottenere l’annullamento della sconfitta a tavolino contro la Pro Italia. Fortuna volle che il 28 giugno 1926 la Presidenza Federale, non essendo riuscita a risolvere la crisi ingenerata da un grave sciopero arbitrale, pregò il presidente del CONI Lando Ferretti (gerarca fascista romano) a voler assumere immediatamente tutti i poteri federali. Anche in seguito a ciò, in quello stesso giorno il ricorso fu ovviamente accolto (essendo ora la FIGC sotto il controllo completo di Ferretti, che aveva promesso di intercedere a favore dell’Alba) e Alba-Pro Italia fu mandata a ripetere il 4 luglio 1926: l’Alba vinse per 3-1 e riottenne il primato in classifica. L’Alba si qualificò così alla Finale della Lega Sud.

La finale di andata a Roma vide l’Alba dominare completamente i partenopei vincendo 6-1. Poiché proprio nel 1925-26 era stato introdotto il quoziente reti per discriminare i pari merito in classifica, ciò avrebbe significato che i partenopei avrebbero dovuto vincere con almeno sei reti di scarto per portare il quoziente reti a proprio favore, o con cinque reti di scarto per imporre lo spareggio in campo neutro. La finale di ritorno a Napoli finì in parità e l’Alba vinse così per la seconda volta consecutiva il campionato della Lega Sud.

La finalissima di andata tra Juventus e Alba si disputò a Torino, e fu vinta dai bianconeri per 7-1, che poi si imposero anche al ritorno a Roma vincendo facilmente per 5-0. La Juventus fu così Campione d’Italia per la seconda volta.

LA CARTA DI VIAREGGIO

Nel frattempo, a causa della crisi ingenerata dallo sciopero arbitrale, la FIGC aveva pregato il presidente del CONI Lando Ferretti di assumere tutti i poteri federali, nessuno escluso. Ferretti a sua volta nominò una commissione di tre esperti, Paolo Graziani del Bologna, Italo Foschi della Fortitudo di Roma e l’avvocato Giovanni Mauro (presidente dell’AIA) affinché riformassero i campionati, attuando modifiche ai piani di riforma già approvati dalla Commissione dei tredici nel settembre 1925 e che sarebbero dovute entrare in vigore a partire dal 1926-27; costoro stilarono la cosiddetta Carta di Viareggio. Con la Carta di Viareggio del 2 agosto 1926, furono introdotte pesanti modifiche al piano di riforma della Lega Nord dell’agosto 1925.

  • Le Leghe Nord e Sud delle Società Maggiori furono sciolte e sostituite dal Direttorio Divisioni Superiori, mentre la lega delle società minori del Nord e la lega delle società minori del Sud furono sostituite rispettivamente dal Direttorio Divisioni Inferiori Nord e dal Direttorio Divisioni Inferiori Sud.
  • Fu mantenuta la Divisione Nazionale, ma fu allargata a 20 squadre, comprendendovi, oltre alle sedici già qualificate, tre squadre della Lega Sud (Alba, Internaples e Fortitudo) e la vincitrice di un torneo di qualificazione tra le otto retrocesse del Nord, alla fine vinto dall’Alessandria.
  • Inoltre si ritornò indietro sull’idea di far disputare la Divisione Nazionale a girone unico, e si tornò alla formula a due gironi.
  • Per la prima volta le squadre del centro-sud furono inserite nel campionato principale, invece di tenerle separate in un torneo a parte la cui vincitrice avrebbe avuto l’accesso alla finalissima contro il campione del torneo principale.

La scarsa considerazione che le tre compagini centro-meridionali ammesse a giocare con le diciassette maggiori squadre del Nord avevano al settentrione, spinse molte squadre della Seconda Divisione dell’Alta Italia a protestare per i tre posti concessi al Centro-Sud nel massimo campionato (a loro giudizio usurpati al calcio settentrionale), sostenendo che le migliori squadre di Seconda Divisione erano non meno degne delle tre migliori del Sud a disputare la massima serie. La Federazione non recedette dai propri propositi, e confermò la triplice rappresentanza centromeridionale.