Il caso Rosetta e gli ultimi trionfi del Genoa

IL CAMPIONATO 1922-23: IL RITORNO DEL GENOA

Dopo la ricomposizione dello scisma e il Compromesso Colombo, fu deciso che al campionato 1922-23 della Lega Nord avrebbero partecipato 36 squadre, suddivise in tre gironi. Per ridurre il campionato a 24 squadre, fu stabilito che le ultime quattro di ogni girone sarebbero retrocesse in Seconda Divisione, e furono bloccate le promozioni dalla Seconda alla Prima Divisione. La prima di ogni girone avrebbe disputato un girone finale a tre per l’assegnazione del titolo di campione della Lega Nord. La finalissima per il titolo nazionale sarebbe avvenuta tra il campione della Lega Nord e il campione della Lega Sud.

Nel girone A stupì l’ottimo campionato condotto dalla sorpresa Sampierdarenese, non considerata tra le favorite sulla carta ma pur sempre finalista del campionato federale precedente. I genovesi chiusero addirittura il girone d’andata in vetta con ben 19 punti (in 11 partite), staccando di tre punti il Torino, di quattro il Pisa e di cinque la Pro Vercelli. La Sampierdarenese tuttavia calò nel girone di ritorno, e i leoni bianchi, dopo un inizio altalenante, poterono così effettuare il sorpasso e volare in vetta già alla diciottesima giornata, a quattro dal termine. La Sampierdarenese, sorpassata anche dal Torino, chiuse al terzo posto, mentre la Pro Vercelli vinse il girone, accedendo alle finali. Nel girone A retrocessero Mantova, US Torinese, Petrarca (di Padova) e Speranza (di Savona). Il Mantova in particolare retrocedette per colpa di un arbitraggio truccato a favore della Virtus: quando lo scandalo emerse un anno dopo, l’arbitro incriminato e la Virtus furono radiati e il Mantova promosso a tavolino in Prima Divisione per risarcimento.

Per quanto riguarda il girone B esso vide la cavalcata trionfale del Genoa, che vinse con netto vantaggio il girone respingendo agevolmente gli assalti del Bologna e del sorprendente Legnano. I lilla chiusero il campionato al secondo posto, anche se staccati di ben sette punti dal Grifone. Il Bologna chiuse al terzo posto a dodici punti dalla vetta. Per quanto riguarda la zona retrocessione, retrocedettero con ampio anticipo Esperia (di Como) e Udinese, mentre la Rivarolese mancò la salvezza per due punti e Spezia e Derthona chiusero appaiate al quartultimo posto. Nello spareggio gli spezzini ebbero la meglio per 2-1, condannando i tortonesi alla retrocessione. Per il secondo anno consecutivo lo Spezia si salvò allo spareggio.

Nel Girone C, quello meno blasonato e più equilibrato, ci fu un’accanita lotta per il primato tra Livorno, Alessandria, SPAL e Padova.  I labronici chiusero il girone d’andata al primo posto, staccando di un punto l’Alessandria ma calarono alla distanza chiudendo al terzo posto a pari punti con la SPAL a due punti dalla vetta. Il campionato si chiuse con Alessandria e Padova in vetta a pari punti: nel conseguente spareggio furono gli euganei a spuntarla per 2-1, accedendo alle finali. In zona retrocessione caddero Lucchese, US Milanese, Pastore (di Torino) e Savona. I savonesi furono sfavoriti dall’annullamento per irregolarità di alcune loro partite, che, una volta ripetute, portarono risultati peggiori rispetto a quelle annullate con conseguente perdita di punti preziosi in classifica. E’ da segnalare la salvezza stentata della Novese campione federale dell’anno precedente che, se non altro, riuscì a confermare quanto detto due anni prima, cioè che sarebbe rientrata tra le 24 migliori società italiane.

Il girone finale tra Genoa, Pro Vercelli e Padova cominciò a maggio. Nella prima partita, disputata a Vercelli, i genoani riuscirono a strappare un prezioso pari a rete bianche. Sette giorni dopo il grifone batté il Padova per 3-1, conquistando altri due preziosi punti. Ma la sorpresa avvenne sette giorni dopo, allorquando i Leoni Bianchi si fecero sorprendentemente battere dagli euganei compromettendo il loro campionato. A questo punto, infatti, la partita di ritorno tra Genoa e Pro Vercelli, sul campo del Grifone, si presentava come l’ultima spiaggia per i Bianchi Leoni. Il Genoa vinse per 1-0, tagliando fuori definitivamente dalla corsa per il titolo la gloriosa Pro. La settimana successiva il Genoa vinse per 3-0 sul campo del Padova, l’unica squadra ancora teoricamente in corsa, vincendo matematicamente il campionato del Nord. La Pro Vercelli si dovette accontentare del secondo posto, conseguito battendo i padovani nel retour match.

Per quanto riguarda la Lega Sud, si segnala la mancata partecipazione della Puteolana, scioltasi per difficoltà economiche, e la fusione tra Naples e U.S. Internazionale per formare la F.B.C. Internazionale-Naples, spesso abbreviato l’Internaples. I due gironi di semifinale furono dominati da Lazio e Savoia (di Torre Annunziata), che si contesero il titolo centro-meridionale nella finale. I biancocelesti avevano riconquistato il primato regionale rafforzandosi con gli arrivi di preziosi giocatori come il fiumano Antonio Vojak, futuro giocatore di Juventus (con cui vinse uno scudetto nel 1925-26) e Napoli. La stella della Lazio era però Fulvio Bernardini, talmente bravo da diventare il primo giocatore di una squadra di Lega Sud a debuttare nella Nazionale Italiana. Il Savoia aveva allestito una formazione competitiva comprendente anche alcuni giocatori della sciolta Puteolana nonché alcuni talentuosi giocatori provenienti dal Novara, gli avanti Giulio Bobbio e Mombelli. La finale tra le due potenze del calcio meridionale fu però vinta dai biancocelesti, complice la netta vittoria per 4-1 al ritorno e il fortunoso pareggio per 3-3 all’andata, complici due sfortunate autoreti oplontine.

La finalissima tra Lazio e Genoa non ebbe storia. Il Grifone vinse per 4-1 all’andata e si impose (2-0) anche al ritorno a Roma, ratificando il titolo.

IL CASO ROSETTA

Nel frattempo, nel 1923 la Juventus passò sotto la proprietà degli Agnelli, proprietari della FIAT. Gli Agnelli rinforzarono di molto la squadra, e quando seppero che il brillante terzino della Pro Vercelli Virginio Rosetta era stato messo fuori squadra dalla Pro in quanto in rotta, si tentò di ottenerne il trasferimento nella Juventus. Ne nacque un controverso caso, il Caso Rosetta, il cui esito tagliò i bianconeri dalla corsa per il titolo. Il fatto era che all’epoca i trasferimenti da una squadra all’altra non erano così semplici: prima di tutto occorreva attendere che il giocatore da acquistare fosse messo in lista di trasferimento, ma soprattutto  occorreva che il giocatore da acquistare risiedesse già nella stessa città della squadra interessata. Il Milan, interessato all’altro giocatore messo fuori rosa dalla Pro, Gustavo Gay, riuscì a ottenere l’inserimento di Gay nella lista di trasferimento sia per una mera questione di conflitto di interessi (il presidente della Lega Nord, Ulisse Baruffini, era anche un dirigente del Milan) sia perché un  certificato dell’azienda Richard-Ginori attestava che Gay era dipendente della suddetta azienda e risiedeva a Milano già da due anni.

La Lega Nord si mostrò contraria all’inserimento di Rosetta nella lista di trasferimento. Quando il 7 novembre 1923 Rosetta presentò alla Lega Nord la richiesta di essere messo in lista di trasferimento in quanto aveva presentato le dimissioni dalla Pro Vercelli, la Lega Nord decise di temporeggiare rinviando ogni decisione al 1 dicembre. La Juventus si appellò quindi alla Federazione, che il 24 novembre stabilì che tutti i giocatori le cui dimissioni erano state accettate dalla società di appartenenza erano inseriti automaticamente nelle liste di trasferimento. La Juventus, forte della sentenza della Federazione, schierò Rosetta in tre partite consecutive, contro Modena, Genoa e Padova, vincendole sul campo tutte e tre. La Lega Nord tuttavia ribaltò i tre risultati a tavolino su richiesta delle tre avversarie. La Juventus si appellò dunque al Consiglio Federale, che il 15 dicembre le diede ragione restituendole i tre successi conseguiti sul campo. A questo punto nacque un braccio di ferro tra Federazione e Lega Nord. Baruffini rassegnò le dimissioni che vennero però respinte dalla Lega, la quale decise di radunare un’assemblea il 6 gennaio 1924 per discutere sul controverso caso. Nel frattempo la FIGC dichiarò decaduto, il 30 dicembre 1923, l’intero consiglio direttivo della Lega Nord e annullando l’assemblea del 6 gennaio, sostituendola con un’altra da tenersi a Torino il 6 febbraio. Inviò inoltre a tutte le società affiliate un documento con il quale il Consiglio Federale difendeva il proprio operato, il cosiddetto libro bianco, il cui contenuto fu riassunto dal Paese Sportivo di Torino nel modo seguente:

Accusato di aver intaccato lo statuto, il Consiglio Federale ampiamente dimostra di non essere mai uscito dai limiti precisi del suo compito […]. Il cosiddetto Caso Rosetta non deve considerarsi isolatamente, ma deve essere ampiamente illuminato dalle deliberazioni federali precedenti, deliberazioni alle quali la Lega Nord si è sempre inchinata senza riserve. […] Caso De Nardo e Caso Rosetta: il 30 settembre 1922 al CF è proposto il caso di un giuocatore espulso da una società. Può questo giuocatore considerarsi senz’altro libero di entrare in quella qualsiasi altra società che gli talenti? Il Consiglio Federale […] risponde di sì. Il giocatore viene di diritto posto in lista di trasferimento e può trasferirsi dove gli piace. […] La Lega Nord approva senz’altro il deliberato, riconoscendo la validità del nuovo tesseramento. Il giuocatore in questione passa dalla Spes alla Sampierdarenese. Questo si chiama il Caso De Nardo. Pochi mesi or sono il Consiglio Federale è chiamato a risolvere il Caso Rosetta. Il giuocatore Rosetta è dimissionario dalla sua società: le sue dimissioni sono state accettate. Egli chiede di essere messo in lista di trasferimento per poter entrare a far parte della Juventus. Il Consiglio Federale pensa, logicamente, che quando una società accoglie le dimissioni di un socio significa che lo lascia libero e pone in lista di trasferimento il Rosetta. La Lega Nord risponde “no”. […] Orbene, è serio ed è sportivo ciò che ha fatto la Lega Nord contro il giuocatore Rosetta? E’ seria ed è sportiva la persecuzione contro la società Juventus? Che cosa voleva, in sostanza, la Lega Nord, se non impedire che il giuocatore Rosetta giuocasse? Il giuocatore De Nardo era un mezzo Carneade, non interessava; il giuocatore Rosetta… era un’altra cosa. Tra i quattro rappresentanti della Lega Nord che presero la prima deliberazione in odio al Rosetta, uno era dell’Internazionale, uno del Genoa e uno del Modena, tre società in lizza contro la Juventus per la conquista del Campionato.[…] Né vogliamo soffermarci sul caso del giuocatore Gay, perfettamente identico al Caso Rosetta e risolto dal Consiglio Federale con le stesse motivazioni. Anche per il Gay la Lega Nord disse “sì” […], ma per il Rosetta “no”, decisamente “no”. Tutto ciò è molto malinconico e meritava di essere ben chiarito alle società federate e al pubblico […]. Il libro bianco della Federazione giunge dunque opportunissimo. E’ un documento di serietà e di rettitudine che darà i suoi frutti. […]

Nel frattempo Rosetta scese in campo in altre quattro partite, ma questa volta gli avversari decisero di non presentare reclamo. Nel frattempo, nel corso dell’assemblea della Lega Nord del 6 gennaio 1924, con 156 voti favorevoli, 5 astenuti e il solo voto contrario della Juventus, l’assemblea approvò l’ordine del giorno con cui respinse le dimissioni del Consiglio della Lega Nord e ribadì la posizione irregolare di Rosetta. Inoltre, il documento finale dell’assemblea invocò l’intervento del CONI (il cui presidente era il gerarca fascista Aldo Finzi), in modo da scavalcare la FIGC, con il pretesto che il caso Rosetta rischiava di compromettere il rendimento della nazionale in vista delle imminenti Olimpiadi, essendo Rosetta appunto un giocatore della Nazionale. Finzi convocò urgentemente una riunione, al termine della quale emanò un ordine del giorno che si pronunciava in modo favorevole alla Lega Nord e sfavorevole alla FIGC e alla Juventus, pur esortando l’assemblea di Lega a non disconoscere l’autorità del Consiglio Federale.

Il 9 febbraio 1924 si tenne l’assemblea generale a Torino: alla presenza di trecento delegati, il vicepresidente della FIGC Ferretti diede inizio all’assemblea. Ferretti poi espose e difese l’operato del Consiglio Federale per quanto riguarda il caso Rosetta: dopo aver attaccato la Lega Nord accusandola di insubordinazione a un ente a lei superiore, ribadì che il caso Rosetta e il caso Gay erano identici, pertanto, se la Lega Nord aveva ritenuto le dimissioni di Gay sufficienti a metterlo in lista di trasferimento, non vi era ragione per non seguire una identica norma per Rosetta. Ferretti concluse il discorso rammentando le ragioni per cui fu ordinato lo scioglimento della Lega Nord e lasciò all’assemblea il compito di giudicare anche su questo punto l’operato del Consiglio Federale. Presero poi la parola Cavazzana, che arringò a favore della posizione della Lega, infine il rappresentante del Carpi, Levi, che con una lunga requisitoria affermò che non vi poteva essere pacificazione senza giustizia, e che era compito di quell’assemblea fare giustizia. Nel proseguimento del discorso, Levi affermò che l’operato del Consiglio Federale fosse illegittimo, e, facendo forza sull’ordine del giorno di Milano emanato dal presidente del CONI, presentò un ordine del giorno con il quale si chiedeva di sfiduciare il Consiglio Federale, reo a suo dire di non aver applicato in maniera corretta i regolamenti.  L’ordine del giorno presentato chiedeva alle società di approvare l’operato del Consiglio Federale e di concedergli la fiducia. Con 87 voti favorevoli, 188 contrari e 10 astenuti, l’ordine del giorno non passò e il consiglio federale venne sfiduciato e costretto a dimettersi. La FIGC finì per essere commissariata venendo messa sotto il controllo di un direttorio formato da sette membri: Felice Tonetti, Roberto Gera, Luigi Bianchetti, Paride Nicolato, Enrico Bassani, Duilio Ripardelli e Edoardo Pasteur.

Nella prima riunione del suddetto Direttorio, tenutasi il 17 febbraio, si stabilì infine che Rosetta era da considerare tuttora un giocatore della Pro Vercelli finché essa non l’avesse messo regolarmente nella lista di trasferimento, per cui egli, essendogli stata revocata la tessera di giocatore, non poteva più giocare per il resto della stagione. Lo stesso Direttorio assegnò la sconfitta a tavolino alla Juventus nelle tre partite vinte sul campo contro Modena, Genoa e Padova, graziando però i bianconeri per le altre quattro partite (nelle quali aveva ottenuto tre vittorie e un pareggio) in cui fu schierato Rosetta perché avvenute dopo la messa in lista di trasferimento del giocatore e tenendo conto della buona fede dei bianconeri. Il risultato del controverso scandalo fu che la Juventus, a causa delle tre sconfitte a tavolino, fu tagliata fuori dalla corsa per il titolo: prima della decisione la Juventus era in vetta a pari punti con il Genoa.

A fine stagione la Juventus riuscì comunque ad acquistare regolarmente Rosetta. Al congresso delle società calcistiche italiane del 28 e 29 giugno 1924, fu abolita la norma che obbligava il calciatore a risiedere nella città sede del club dove intendeva trasferirsi, aprendo ulteriormente le porte al professionismo. Nel frattempo la Juventus riuscì a ottenere dalla Pro Vercelli l’inserimento in lista di trasferimento di Rosetta in cambio di un assegno di 50.000 lire. Il Guerin Sportivo commentò sarcasticamente: «Da oggi, mercé gli sforzi combinati juventino-vercellesi, è possibile determinare il valore di una squadra: quella vercellese vale 550.000 lire».

GENOA CONTRO BOLOGNA

Tornando al calcio giocato, nel Girone A il Genoa se la dovette vedere inizialmente con la Juventus. Estromessi i bianconeri dalla corsa al titolo a causa delle tre sconfitte a tavolino conseguenti al Caso Rosetta, il Genoa poté veleggiare con più tranquillità verso la vittoria del girone. Alla diciasettesima giornata i punti di vantaggio sulla seconda classificata, il Modena, erano ben sei. Un calo di rendimento, dovuto forse alla sicurezza della vittoria, con la sconfitta interna (1-2) contro il Padova seguita da una in trasferta nella stracittadina contro la Sampierdarenese, riavvicinò il Padova a meno tre. Il Grifone, nonostante altri due pareggi contro Juve e Virtus di Bologna, riuscì comunque a gestire il vantaggio e a concludere il girone al primo posto staccando di quattro punti il Padova secondo. In zona retrocessione cadde la Virtus Bologna, successivamente radiata in seguito allo scandalo degli arbitraggi truccati che le avevano assicurato la salvezza ai danni del Mantova.

L’altro girone vide un’accanita lotta per il primato tra Bologna, Pro Vercelli e Torino. La Pro Vercelli chiuse il girone d’andata al primo posto, staccando di un punto Torino e Pisa, mentre il Bologna era quarto a tre punti dalla vetta. Nel girone di ritorno la lotta si ridusse alle sole Pro Vercelli, Torino e Bologna, con le tre che effettuavano continui sorpassi e controsorpassi, occupando a turno la vetta. Alla fine il Bologna compì l’allungo decisivo riuscendo addirittura a espugnare il campo vercellese, inviolato ormai da anni. Il Torino abdicò dopo l’inopinata sconfitta sul campo dello Spezia in lotta per non retrocedere. La classifica finale vide il Bologna primo con 31 punti, secondo il Torino a quota 30, terza la Pro Vercelli a quota 28. Il Torino chiese la vittoria a tavolino contro lo Spezia per intemperanze del pubblico, in modo da sorpassare i felsinei, ma la Federazione lo respinse e così fu il Bologna a disputare la finale contro il Genoa. In zona retrocessione cadde la Novese, che nelle ultime giornate subì la rimonta e il sorpasso della SPAL (precedente fanalino di coda): i ferraresi, grazie a un buon girone di ritorno, riuscirono a sorpassare anche lo Spezia, evitando così anche la disputa degli spareggi interdivisionali contro la terza e quarta classificata della Seconda Divisione. Tali spareggi, disputati contro Olympia di Fiume e Sestrese, videro la facile vittoria delle squadre di Prima Divisione, cioè Spezia e Novara, che così si salvarono dalla retrocessione. E’ da notare che per il terzo campionato successivo lo Spezia si salvò agli spareggi.

Le finali tra il Genoa e il Bologna si disputarono a giugno. La gara d’andata, a Genova, fu molto equilibrata e il Grifone riuscì a segnare il gol della vittoria solo al 84′ con Neri. Il ritorno a Bologna fu caratterizzato da disordini dovuti alle intemperanze del pubblico. Il Genoa si portò in vantaggio con Santamaria al 36′ ma il Bologna pareggiò grazie a un rigore trasformato da Pozzi al 57′. L’arbitro era però stato costretto a concedere il rigore per evitare maggiori intemperanze da parte del pubblico bolognese. Di fronte alle intemperanze del pubblico, l’arbitro sospese l’incontro a sei minuti dal termine sul punteggio di 1-1. Le cronache riportano che la partita era stata sospesa ufficialmente per impraticabilità del campo, e avrebbe dovuto dunque ripetersi. Tuttavia, l’arbitro aveva scritto sul referto che aveva “speciosamente concesso il calcio di rigore per evitare maggiori incidenti in campo e sulle tribune”, per cui la Lega Nord assegnò la sconfitta a tavolino al Bologna e il Genoa fu proclamato campione del Nord in attesa di poter disputare la finalissima contro il campione della Lega Sud.

UN CAMPIONATO INTERMINABILE: IL CASO SAVOIA

Il problema è che il “caso Savoia” tra ricorsi e controricorsi aveva reso il campionato della Lega Sud interminabile, cosicché esso terminò solo il 24 agosto, con il risultato che la Finalissima si poté disputare solo il 31 agosto e il 7 settembre.

Ma cosa era successo? Il Savoia della famiglia Voiello (noti produttori di pasta), con una vittoria sull’Ideale di Bari per 7-1 il 22 giugno, aveva vinto il girone di semifinale con 8 punti, staccando di un punto la Lazio e di tre i baresi. La finale tra Savoia e Alba era prevista a questo punto per il 29 giugno. Sennonché l’Ideale presentò ricorso presso la Presidenza Federale chiedendo la vittoria a tavolino (per forfait) contro il Savoia per la mancata disputa dell’incontro del 1 giugno 1924 (del quale l’incontro del 22 giugno era il recupero) per l’indisponibilità del campo del Savoia, non essendosi a loro dire gli oplontini impegnati a sufficienza per trovare un campo di gioco alternativo. Il 5 luglio 1924 la sentenza della Presidenza Federale arrivò:

Ritenuto quantunque non applicabile al Savoia la su accennata disposizione, nella parte che consente alle sole società marchigiane e pugliesi la semplice disposizione di un campo di giuoco, anziché la proprietà, poteva tuttavia il Savoia chiedere, in via di eccezione di poter usufruire di altro campo se il proprio era requisito, ciò che gli venne concesso e gli sarebbe stato facile ottenere; considerato ancora che l’Ideale non poteva essere privato del diritto di poter disputare la gara fissata comunque e su qualsiasi campo, specie di fronte all’analoga autorizzazione della Lega Sud ed alla presenza dell’arbitro designato; che pertanto il Savoia deve imputare a propria colpa e negligenza sia il non avere provveduto ad altro campo ottemperando alle istruzioni della Lega Sud ed alle sollecitazioni dell’Ideale, sia l’aver rifiutato di scendere in campo, cosicché deve ritenersi aver esso disertato il campo stesso con la conseguente vittoria all’Ideale per 2 a 0; la Presidenza in accoglimento del reclamo presentato dall’Ideale, delibera di dare vinta per 2 a 0 alla reclamante ed in base ai considerandi sovra esposti, nonché per forfait del Savoia, la gara 1 giugno 1924 e dà obbligo a quest’ultima di rifondere all’Ideale l’indennizzo su misura pari a quella corrisposta per la gara di andata; e di mandare alla Lega Sud di modificare la classifica in conseguenza e di provvedere all’ulteriore svolgimento del campionato.

A causa della sentenza il Savoia scivolò dal primo al terzo posto, mentre Lazio e Ideale, ora in vetta a quota sette punti, disputarono sul campo neutro di Ancona lo spareggio per il primato, vinto infine dai biancocelesti per 2-1 ai tempi supplementari. Il Savoia, tuttavia, presentò ricorso presso la Presidenza Federale, per cui le partite di finale tra Lazio e Alba previste per il 13 e il 20 luglio furono annullate. Il 20 luglio la Presidenza Federale tornò sui propri passi annullando la sconfitta a tavolino degli oplontini e decretando che le finali sarebbero state disputate tra Alba e Savoia. Nel corso dell’andata, disputata a Roma il 27 luglio, l’arbitro fischiò la fine dell’incontro con cinque minuti di anticipo, vanificando l’impresa del Savoia che in trasferta stava conducendo per 2-0. Infatti la vittoria del Savoia fu annullata e la partita ripetuta il 10 agosto. Nel frattempo il Savoia vinse 2-0 anche al ritorno a Torre Annunziata, ma nella ripetizione della partita di andata perse per 1-0. Poiché Savoia e Alba erano in vetta a quota due, si dovette disputare lo spareggio sul campo neutro di Livorno in programma per il 24 agosto. L’Alba tuttavia non si presentò in campo dichiarando forfait, perché la Lega Sud non le aveva garantito gli indennizzi per le spese di trasferta, e il Savoia fu proclamato campione della Lega Sud.

LA FINALISSIMA TRA GENOA E SAVOIA

Finalmente si potè così disputare la Finalissima tra Genoa e Savoia. All’andata a Genova il Savoia, pur perdendo 3-1, destò una favorevolissima impressione. Secondo i quotidiani dell’epoca:

L’incontro, se non è riuscito interessantissimo, è stato tuttavia seguito con attenzione perché un fatto inaspettato si è verificato nel corso della partita. Il Savoia, di classe nettamente inferiore al Genoa, dopo un primo tempo nel quale ha subito la superiorità dei rosso-bleu, è andato man mano riprendendosi giungendo fino a muovere ad entusiasmo il pubblico genovese. Con questo non si vuol dire che la squadra del Savoia sia una seria avversaria per le squadre settentrionali, ma essa si è rivelata come la migliore di quelle venute finora dal Sud a contendere il titolo alle squadre del Nord.
Il Genoa, evidentemente a corto di lavoro, dopo un primo tempo assai ben condotto, ha finito nel secondo per cedere, dando evidente segno di stanchezza che poteva riuscirgli fatale di fronte all’avversaria più decisa. Nel complesso l’incontro è piaciuto e se pure non è stato interessantissimo e combattuto con estremo vigore, pure ha avuto momenti assai brillanti nei quali rifulse specialmente il valore dei campioni partenopei.

Dopo un pessimo inizio, con il Genoa già in vantaggio di due reti dopo appena sedici minuti, il Savoia riuscì a prendere poco alla volta le giuste misure, accorciando le distanze al 49′ (rete del bomber Bobbio). La risposta del grifone non si fece attendere e al 55′ Santamaria segnò il terzo gol per il Genoa. L’incontro terminò 3-1, con una certa superiorità tecnica del Genoa, anche per il numero di azioni offensive, ma con il Savoia che aveva mostrato una grande combattività e in certi momenti del match aveva addirittura messo in difficoltà i più blasonati avversari. “Il calcio” così descrive la prestazione dei giocatori del Savoia:

Il trio difensivo costituisce un buon baluardo, preciso, potente, deciso. Visciano ha parato una infinità di palloni, sfoggiando un buon senso di posizione e attanagliando ferreamente i bolidi che gli attaccanti rossoblù gli indirizzavano. Dei due terzini, più preciso e potente Lo Bianco, più disordinato ma più irruente Nebbia. Nella linea mediana emerse il biondo Cassese, che però, nel secondo tempo, causa una leggera distorsione, dovette passare all’ala sinistra. Tra gli avanti emersero Bobbio buon distributore e trascinatore e la mezza sinistra Mombelli, che fu il più pericoloso tiratore di tutta la linea.

Sette giorni dopo a Torre Annunziata si disputò il ritorno. Era il 7 settembre. Secondo le cronache locali:

Il Corso Umberto è gremito, i tifosi accompagnano in corteo i campioni fino al Municipio, dove, nella sala comunale, il sindaco, avvocato Francesco Gallo de’ Tommasi, dà il benvenuto della città ed offre in dono pacchi della migliore pasta torrese. Commosso e non poco impacciato ringrazia per tutti il capitano De Vecchi.

La partita vide una certa superiorità del Genoa nel possesso palla e nel  numero di azioni offensive, ma il Savoia riuscì a difendersi benissimo e a ripartire ogni volta che poté al contrattacco, creando anch’essa qualche pericolo alla difesa rossoblu. Nel primo tempo un tiro di Mombelli fu salvato sulla linea da Barbieri a De Pra ormai battuto. Nella ripresa, al 71′, il Genoa passò in vantaggio in maniera controversa: in seguito a una corta respinta del portiere oplontino Visciano, la ribattuta di Moruzzi colpì la traversa, rimbalzò sulla linea e tornò in campo, e l’arbitro Rangone assegnò il gol al Genoa, ritenendo che la palla avesse oltrepassato completamente la linea di porta. Due minuti dopo, comunque, il Savoia riuscì a pareggiare grazie a una grande conclusione di Mombelli che non lasciò scampo al portiere della nazionale De Pra. La partita finì 1-1 e il Genoa vinse il suo nono scudetto.

Al Savoia rimase il rimpianto per il controverso gol assegnato al Genoa da Rangone. Lo stesso Rangone sembrerebbe aver dichiarato in seguito che se avesse ritenuto il Savoia in grado di giocarsela alla pari con il Genoa, non l’avrebbe concesso, e a quel punto con la vittoria per 1-0 del Savoia, il Genoa sarebbe stato addirittura costretto allo spareggio in campo neutro. Ma con i se e con i ma la storia non si fa.