La storia della nazionale italiana di calcio (1910-1919)

LA SELEZIONE MISTA DELLA FEDERAZIONE

La nazionale italiana di calcio esordì ufficialmente nel 1910. In realtà, fin dal 1899, una selezione italiana disputò alcune sporadiche amichevoli, ma si trattava di una selezione mista dei migliori calciatori del campionato italiano, comprendente numerosi atleti stranieri. Riepiloghiamo comunque brevemente le partite di questa selezione mista della F.I.F. (il nome vecchio della FIGC).

La prima partita della selezione dei calciatori rappresentanti la F.I.F. fu disputata il 30 aprile 1899 al Velodromo Umberto I di Torino contro una selezione svizzera: finì 2-0 per gli svizzeri. La selezione italiana, costituita da soli giocatori del Genoa e dell’Internazionale di Torino, giocò con la maglia del Grifone, ed era, a dispetto del nome, ben poco “italiana”. Scesero in campo per l’Italia infatti: Beaton, De Galleani, Dobbie, Bosio, Spensley, Pasteur I, Leaver, Weber, Kilpin, Savage, Agar. Solo De Galleani e Bosio erano italiani.

Successivamente, nel maggio 1907, all’Arena di Milano si disputò una partita tra la selezione mista della F.I.F. e gli svizzeri del Grasshopper, vinta dagli “italiani”.

Nell’aprile 1909 una rappresentativa italiana mista prese parte al torneo internazionale organizzato dal settimanale “La Stampa Sportiva”. Secondo le cronache dell’epoca, “gli italiani indossano la casacca bianca con la fascia tricolore intorno alla vita: novità che piace al pubblico e gli strappa il primo applauso”. La selezione italiana perse per 2-1 ai supplementari la partita contro gli elvetici del Winthertur; in compenso, il giorno dopo sconfisse per 2-1 lo Stoccarda e il 13 pareggiò 1-1 con gli albionici del West Auckland. La selezione mista comprendeva anche buoni elementi di nazionalità italiana come Faroppa, Capra, De Bernardi, Fresia, Berardo e Simonazzi.

LA NASCITA E L’ESORDIO DELLA NAZIONALE 

Affinché nascesse una rappresentativa davvero nazionale, costituita da soli elementi italiani, fu necessario attendere il 1910, in seguito ai successi della Pro Vercelli in campionato nel 1908 e soprattutto nel 1909. La Pro Vercelli dimostrò che era possibile vincere il campionato nazionale anche con una squadra costituita da soli elementi italiani, insomma dimostrò che nel campionato italiano militavano anche ottimi calciatori di nazionalità italiana, non solo stranieri di grande valore. Per di più nel 1909 divenne presidente della Federazione Luigi Bosisio, convinto fautore dell’italianizzazione del campionato. I tempi erano ormai maturi. Nel 1909 la FIFA scelse Milano come sede del suo settimo congresso, in programma nella primavera 1910. Bosisio colse la palla al balzo per allestire una selezione italiana costituita da soli elementi italiani e di farla debuttare in un’amichevole contro la Francia, scelta appositamente per evitare una brutta figura (i transalpini all’epoca non godevano di grande reputazione, a differenza delle forti Ungheria e Svizzera, avendo già perso numerose partite con ampio margine). L’esordio contro la Francia fu programmato per il 15 maggio 1910. Ora bisognava soltanto scegliere i membri della commissione che avrebbe dovuto selezionare i giocatori degni di indossare la maglia della nazionale. Poiché all’epoca non esistevano ancora dei veri e propri trainer, si scelse di affidare alla Commissione Arbitrale, costituita da cinque arbitri, il compito di “formare la squadra nazionale per una competizione ufficiale internazionale”. Infatti all’epoca gli arbitri, in mancanza di veri e propri allenatori, erano quelli più idonei a valutare correttamente le qualità di un calciatore, essendo stati in passato anch’essi calciatori. All’epoca i cinque membri della Commissione Tecnica Arbitrale erano Umberto Meazza, Agostino Recalcati, Alberto Crivelli, Gianni Camperio e Achille Gama Malcher. Il 13 gennaio 1910, infine, la rivista “Football”, organo ufficiale della FIGC, pubblicò il seguente articolo:

LA SQUADRA NAZIONALE ITALIANA – Quest’anno anche l’Italia avrà la sua squadra nazionale composta da soli giocatori italiani. La FIGC ha a questo uopo incaricata la Commissione Tecnica Arbitrale, e questa si è messa al difficile ed ingrato lavoro con tutta la maggiore buona volontà guidata da quei sentimenti di equanimità e di avvedutezza che sinora l’hanno fatta segno alla generale approvazione. Vari nomi corrono già sulla bocca di qualcuno e si assicura la formazione della squadra; tutto ciò è assolutamente prematuro; anzi è certo che la Commissione non si lascerà impressionare da indicazioni azzardate, talvolta interessate o mosse da simpatie compiacenti; essa proseguirà nel suo lavoro, pazientemente, animata da una sola idea, quella di poter mettere insieme una squadra che degnamente sappia rappresentare i colori dell’Italia, colla speranza che la vittoria arrida agli undici valorosi atleti.

Di fronte alle difficoltà nello scegliere un undici ideale, la Commissione Tecnica Arbitrale decise di dividere i calciatori candidati in due squadre, quella dei “probabili” e quella dei “possibili”, e di farle scontrare tra di loro. Una pesante grana, inoltre, arrivò allorquando la squadra della Pro Vercelli fu squalificata dalla FIGC fino al 31 dicembre 1910 per aver schierato nello spareggio contro l’Internazionale (o Inter) la quarta squadra di undicenni. Ciò significava che tutti i giocatori della Pro Vercelli, che era la squadra con i giocatori italiani più forti, non erano convocabili per tutta la durata della squalifica. La Commissione Tecnica fu dunque costretta a fare ricorso a giocatori di altre squadre per scegliere i “probabili” e i “possibili”. La partita di selezione tra probabili e possibili si disputò il 5 maggio 1910 sul campo del Milan. I “probabili” indossavano una casacca bianca, i “possibili” una divisa celeste. Di seguito sono riportate le formazioni che scesero in campo.

PROBABILI: De Simoni (U.S. Milanese), Varisco (U.S. Milanese), Calì (Andrea Doria), Trerè (Ausonia), Fossati (Internazionale), Capello (Torino), Bontadini (Ausonia), Rizzi (Ausonia), Cevenini I (Milan), Lana (Milan), Baiocchi (U.S. Milanese).

POSSIBILI: Pennano (Juventus), Capra (Torino), De Vecchi (Milan), Colombo (Milan), Goccione (Juventus), Caimi (Internazionale), Borel I (Juventus), Zuffi (Juventus), Fresia (Torino), Berardo (Piemonte), De Bernardi (Torino).

I “probabili” si imposero per 4-1. Un’ulteriore partita tra “probabili” e “possibili” ebbe luogo tre giorni dopo sul campo dell’Inter, con alcuni cambiamenti di formazione, in parte dovuti alle defezioni di Capra e Colombo, in parte stabiliti dalla Commissione per sperimentare varianti. La partita vide ancora una volta la vittoria dei “probabili”, questa volta per 4-2. La Commissione Tecnica decise allora di schierare contro la Francia i dieci undicesimi della formazione dei “probabili” che aveva vinto la prima partita, con il solo “possibile” De Bernardi ad essere scelto al posto del “probabile” Bontadini.

Il debutto della nazionale italiana, avvenuto il 15 maggio 1910 all’Arena di Milano contro la Francia, di fronte a un pubblico di 4.000 spettatori, fu trionfale con una netta vittoria per 6-2. Il quotidiano torinese “La Stampa”, adirato con la Federazione per la squalifica inflitta alla Pro Vercelli, rimarcò tuttavia che la nazionale francese non poteva schierare i giocatori dei club più blasonati d’oltrealpe, “dissidenti dalla federazione francese in seguito ancora alle controversie dilettantismo e professionismo”, e dunque la vittoria fu conseguita contro una Francia menomata (anche l’Italia tuttavia era menomata dall’assenza dei giocatori della Pro Vercelli). Inoltre il quotidiano torinese rimpianse il mancato schieramento dei giocatori della squalificata Pro Vercelli, affermando che “col potente ausilio dei campioni vercellesi, la sconfitta che si sarebbe inflitta agli ospiti avrebbe potuto avvicinare quella clamorosa patita dai francesi contro gli inglesi” (10-1 il 16 aprile 1910).

Undici giorni dopo la nazionale azzurra si recò in Ungheria per disputare la sua seconda partita ufficiale. La squadra, stanca per il viaggio spossante (dapprima a bordo di un treno di terza classe, poi in traghetto fino a Trieste, poi di nuovo in treno), subì una pesante sconfitta (6-1) per mano della forte Ungheria (il gol della bandiera fu siglato da Rizzi). L’unica nota positiva fu costituita dal debutto del sedicenne De Vecchi, chiamato a sostituire l’infortunato centravanti Cevenini I. Il pesante rovescio patito spinse la FIGC a ridurre la squalifica della Pro Vercelli di tre mesi, perché ci si era resi conto che senza l’apporto dei giocatori della Pro Vercelli la nazionale italiana non avrebbe potuto conseguire risultati di rilievo.

IL DEBUTTO DELL’AZZURRO

Nelle prime due partite la nazionale italiana giocò con la casacca bianca, ma non per omaggio alla squalificata Pro Vercelli come è stato in passato erroneamente scritto, ma semplicemente perché non era stato ancora raggiunto l’accordo sul colore, e il bianco, essendo un “non colore”, era ritenuto sufficientemente neutro (scegliere il bianco equivaleva a non scegliere alcun colore). Il portiere Mario De Simoni dichiarò:

La maglia dei primi due incontri era bianca, cioè la maglia comune a tutte le squadre… povere, e bianchi erano anche in maggioranza i calzoncini; quanto ai calzettoni, ognuno usava quelli della sua società. Lo scudo italico non c’era ancora; in compenso, un nastrino tricolore, attaccato in qualche modo, ricordava la nostra bandiera.

Alla fine l’accordo sul colore arrivò. Il 31 dicembre 1910 il “Corriere della Sera” annunciò:

Siamo informati che la nostra squadra nazionale avrà finalmente una sua propria divisa: una maglia di colore bleu marinaro, con sul petto uno scudo racchiudente i colori italiani.

Secondo alcuni l’azzurro fu scelto per omaggio alla dinastia regnante dei Savoia. La nazionale italiana scese per la prima volta in maglia azzurra il 6 gennaio 1911 all’Arena di Milano contro l’Ungheria, perdendo di nuovo per 1-0 (rete decisiva di Schlosser, schierato peraltro con il falso nome di Lakatos per aggirare il divieto impostogli, per impegni militari, di lasciare l’Ungheria). Tuttavia l’Italia questa volta non sfigurò e De Simoni e Milano I ricevettero dalla “Gazzetta dello Sport” una medaglia d’oro come premio per la prova sostenuta. A Milano I fu inoltre pagato il viaggio per assistere a Zurigo all’incontro Svizzera-Ungheria. In questo modo avrebbe potuto studiare la nazionale svizzera, prossima avversaria dell’Italia, in modo da riferire importanti informazioni alla commissione tecnica. Nel frattempo la nazionale azzurra pareggiò per 2-2 a Parigi contro la Francia, complice anche l’arbitro albionico che convalidò la doppietta del francese Maes, nonostante entrambe le reti fossero viziate da una carica al portiere De Simoni. Infatti la scuola inglese ammetteva la carica al portiere anche se quest’ultimo aveva già afferrato con le mani il pallone. L’Italia disputò poi, nel maggio 1911, due partite contro la Svizzera, pareggiando la prima 2-2 a Milano il 7 maggio e perdendo 3-0 in campo avverso il 21 maggio, complici anche le disavventure capitate agli azzurri poco prima del retour match. Infatti dapprima l’auto si guastò e gli azzurri dovettero spingerla a mano fino alla ferrovia di montagna che avrebbe dovuto condurli al luogo dell’incontro, poi dovettero prendere parte a una stancante gita a un laghetto di montagna. Gli azzurri, giunti stanchi in campo, persero nettamente 3-0, come già accennato.

LA PRIMA ESPERIENZA DI VITTORIO POZZO E LE OLIMPIADI 1912

Nel frattempo, in prossimità delle Olimpiadi di Stoccolma 1912, a cui la nazionale italiana aveva deciso di partecipare, fu organizzata un’amichevole contro la Francia. Essa si disputò a Torino il 17 maggio 1912 e vide la vittoria per 4-3 dei transalpini (tripletta del solito Maes), favoriti dalle papere del portiere Faroppa, alla sua prima e ultima partita in nazionale. La commissione tecnica, in seguito alla disfatta, fu sciolta e sostituita da un’altra, mentre il presidente della FIGC Alfonso Ferrero rassegnò addirittura le dimissioni. Nell’atto di dimettersi, tuttavia, chiamò Vittorio Pozzo, all’epoca segretario federale, chiedendogli di “restare in carica con qualche altro dirigente” e di traghettare la nazionale italiana fino al termine delle olimpiadi. Si narra che il presidente federale dimissionario Alfonso Ferrero fece il seguente discorso a Pozzo: “Andare bisogna andare, altrimenti nasce un uragano. Lei se ne intende, lei parla le lingue. Prenda lei il comando, vada, faccia quello che può. Buona fortuna”.  Fu per Pozzo la sua prima esperienza come dirigente della nazionale italiana. Sotto la sua guida l’Italia avrebbe vinto due mondiali (1934 e 1938), un oro (1936) e un bronzo olimpico (1928).

Tornando al 1912, la sua prima esperienza alla guida della nazionale per Vittorio Pozzo si rivelò un fiasco autentico. Gli azzurri infatti uscirono al primo turno delle Olimpiadi di Stoccolma, battuti di misura ai tempi supplementari (3-2) dall’abbordabile e modesta Finlandia. Nel torneo di consolazione, eliminò di misura (1-0) i padroni di casa della Svezia ma fu a sua volta eliminato dall’Austria, subendo una netta sconfitta per 5-1. Al ritorno in patria, Pozzo rassegnò le dimissioni. La sua rivincita sarebbe arrivata soltanto un ventennio dopo.

LA “CURA GARBUTT” E LA PRIMA VITTORIA IN TRASFERTA

Dopo due ulteriori sconfitte, per mano dell’Austria (3-1) e della Francia (con il solito mattatore Maes a segnare con una carica al portiere), ci si rese conto che qualcosa andasse cambiato e come allenatore fu ingaggiato il britannico William Garbut, trainer del Genoa. Si decise inoltre di privilegiare un blocco di giocatori della stessa squadra, in modo da poter schierare un undici più affiatato; a tal uopo nella partita contro il Belgio disputata a Torino il 1 maggio 1913 furono schierati in campo i nove undicesimi della Pro Vercelli, all’epoca la squadra italiana più forte, con De Vecchi del Milan e Fresia dell’Andrea Doria a completare l’undici. Si narra che il presidente della Pro, dopo la vittoria azzurra, annunciò trionfante in un telegramma “la Pro Vercelli ha battuto il Belgio”. La nazionale italiana a questo punto organizzò un amichevole contro l’Austria da disputare a Vienna, confermando il blocco dei giocatori della Pro Vercelli. Nonostante i sette undicesimi della nazionale fossero costituiti da giocatori della Pro Vercelli, due reti su tiri da fuori del terzino austriaco Brandstatter condannarono gli azzurri alla sconfitta (2-0).

Sei mesi dopo, l’11 gennaio 1914, a Milano si disputò la partita Italia-Austria, terminata 0-0. Scesero in campo quattro giocatori della Pro Vercelli e tre del Casale, formazione che in quell’annata avrebbe posto fine all’egemonia della Pro vincendo addirittura il campionato. Nei mesi successivi la nazionale italiana, cui la “cura Garbutt” cominciò a giovare, si impose per 2-0 contro la Francia a Torino e centrò la prima vittoria in assoluto in trasferta, il 17 maggio a Berna contro la Svizzera, dopo aver pareggiato 1-1 a Genova un precedente incontro contro gli elvetici solo per sfortuna, dato che gli azzurri avevano dominato anche allora. Il presidente della FIGC Carlo Montù volle premiare gli autori dell’impresa (la prima vittoria in trasferta) regalando a ogni calciatore sceso in campo una medaglia d’argento con la propria effige su un lato e sull’altro il punteggio della partita.

LO SCOPPIO DELLA GRANDE GUERRA FERMA TUTTO

Lo scoppio della prima guerra mondiale impose una dura battuta d’arresto all’attività della nazionale azzurra. Nonostante l’Italia non fosse entrata ancora in guerra, molte delle nazioni europee lo erano entrate ed era diventato arduo trovare delle avversarie da affrontare, se non altro per le difficoltà di muoversi in territori devastati dalla guerra e invasi da eserciti nemici. L’Italia riuscì soltanto a combinare un’amichevole con la Svizzera, data la comune neutralità (almeno per il momento). L’amichevole si disputò il 31 gennaio 1915 a Torino, e vide l’esordio di Cevenini III. Grazie all’eccellente prestazione dei fratelli Cevenini (Cevenini III trasformò un rigore mentre Cevenini I siglò una doppietta), l’Italia si impose per 3-1 sugli elvetici. Quella fu l’ultima amichevole disputata dall’Italia per quattro anni. Nel maggio 1915, infatti, l’Italia entrò in guerra e si dovette attendere la conclusione del conflitto per rivedere giocare la nazionale. La nazionale tornò in campo solo il 18 gennaio 1920.